domenica 14 settembre 2008

venerdì 21 dicembre 2007

Tecnologia


Ricerca visiva e carico di lavoro mentale

Il termine carico di lavoro mentale si riferisce ad un insieme composito di stati cerebrali che mediano la prestazione umana in compiti percettivi, cognitivi e motori (Parasuraman & Caggiano, 2002).
Più specificatamente, è possibile definire il carico di lavoro mentale come un costrutto multidimensionale che riflette il livello individuale di coinvolgimento attentivo e di sforzo mentale (Wickens, 1984).


Le diverse teorie del carico di lavoro mentale assumono:



  • che le persone abbiano capacità attentive (risorse) limitate;


  • che diversi compiti richiedano differenti quantità (e forse differenti qualità) di tali risorse;

  • che individui diversi possano eseguire ugualmente bene lo stesso compito, malgrado possano esperire difficoltà differenti (Baldwin, 2003).


Esistono diverse misure del carico di lavoro mentale, tipicamente suddivise in misure soggettive, comportamentali e fisiologiche (O’Donnel & Eggemeier, 1986; Wierwille & Eggemeier, 1993).


Movimenti oculari e carico di lavoro


La disponibilità di eye-tracker meno intrusivi ha permesso di impiegare indici derivanti dall’attività oculare degli individui coinvolti nell’esecuzione di uno o più compiti come misura del carico di lavoro (vedi Van Orde net al., 2001 per un contributo recente ed esaustivo).


Ad esempio, la frequenza e la durata degli ammiccamenti sembrerebbero essere inversamente correlate al carico di lavoro esperito (Brooking, Wilson, & Swain, 1996; Hankins & Wilson, 1998).


Inoltre, alcuni studi (Bunecke, 1987; Ephrath, Tole, Stephens, & Young, 1980) hanno mostrato come il carico di lavoro aumenti la durata delle fissazioni, mentre altri (Bellenkes, Wickens, & Kramer, 1997; Miller, 1973) hanno rilevato fissazioni più brevi e più frequenti negli esperti (tutti questi studi erano condotti su piloti).


A questo punto vale la pena fare una precisazione: compiti diversi possono generare pattern diversi per gli indici impiegati. Alcuni indici possono essere sensibili alle richieste di tipo visivo, ma possono essere poco sensibili a richieste di tipo cognitivo. Wilson, Fullenkamp, e Davis (1994) hanno mostrato come la durata degli ammiccamenti diminuisse in maniera drastica durante un compito di tracciamento visivo (caratterizzato un carico cognitivo minimo), mentre lo stesso effetto era molto più debole nel caso di un compito cognitivamente più coinvolgente come una simulazione di volo.


Uno degli aspetti più affascinanti dell’uso dei movimenti oculari è che questi sono in grado di fornire indicazioni sulla cattura automatica dell’attenzione. Secondo Posner (1980), difatti, la distrazione può essere esogena (cioè, prodotta da oggetti ed eventi esterni), oppure endogena (prodotta dall’attività cognitiva dell’utente). In entrambi i casi, gli elementi che producono la distrazione non sono correlati al compito che l’individuo sta eseguendo. La distrazione esogena comporta la cattura dello sguardo e, conseguentemente, porta “gli occhi lontano dal compito”.


Si tratta di effetti noti, anche nel settore della Human-Computer Interaction. In un compito di ricerca visiva, Burke e Hornof (2001) hanno rilevato come la presenza di banner animati (tipici nelle pagine web) contribuisca ad aumentare il carico di lavoro esperito dai soggetti, malgrado non abbia effetti sulla prestazione.


In alcuni studi sul comportamento di guida automobilistica, invece, Recarte e Nunes (2000; 2003) hanno mostrato come un incremento del carico di lavoro produceva un significativo aumento del diametro pupillare, ma anche una relazione tra carico di lavoro e prestazione in compito di ricerca visiva. In particolare, il carico di lavoro sembrerebbe aumentare la concentrazione dei movimenti oculari (cioè rende bassa la variabilità nella direzione dei movimenti) e ridotta frequenza di ispezione allo specchietto retrovisore e al tachimetro.


In generale, l’analisi dei pattern di esplorazione visiva è una tecnica molto diffusa in ergonomia. Per esempio, Diez et al. (2001) hanno impiegato questa tecnica per ottenere indicazioni sulle strategie di scanning impiegate da piloti che interagivano con un simulatore di un Boeing 747. Nel loro studio, questi autori hanno suddiviso il display in aree di interesse rappresentanti gli strumenti esaminati dai piloti durante il compito di volo.


Malgrado l’analisi dello scanpath possa fornire utili informazioni per un’analisi qualitativa, esistono impieghi più avanzati di questa tecnica, in grado di legare direttamente le strategie di esplorazione con il carico di lavoro mentale. È noto, per esempio, come la casualità della scansione visiva, o entropia, (Tole, 1983; Harris, Glover & Spady, 1986) sia una misura in grado di fornire importanti indicazioni in tal senso. Nella termodinamica, il concetto di entropia, fa riferimento alla quantità di disordine presente in un sistema. Questo termine è stato impiegato per descrivere la quantità di disordine che esiste nell’esplorazione visiva.



La logica alla base di questa tecnica è che il pattern di esplorazione diventi più stereotipato (e dunque meno casuale) all’aumentare del carico di lavoro mentale. Al contrario una riduzione del carico di lavoro dovrebbe aumentare la casualità del pattern. Hilburn (1997), ha dimostrato la fondatezza di questa ipotesi in alcuni esperimenti condotti su controllori di traffico aereo.